Primo settembre, la fine dell'estate è alle porte ma è uscito Skam 5 su Netflix e tutto va bene.
Parto col dire che per me Skam Italia è uno dei progetti italiani meglio riusciti negli ultimi anni non solo a livello di regia ma anche e soprattutto di scrittura. Skam è una serie tv che affronta con grande sensibilità e intelligenza temi che non sono semplicemente "adolescenziali" ma che rispondono perfettamente ai tormenti e ai quesiti che la maggior parte di noi si sono posti in quel periodo delicato che è l'adolescenza. Le prime pene amorose, l'orientamento sessuale, il sentirsi diversi sono tutte fasi in cui il nostro essere si interfaccia per la prima volta e come tutte le cose nuove che un po' ci spaventano, vive con profonda introspezione e isolamento.
Tra i messaggi positivi che Skam ci regala c'è quello dell'amicizia e del dialogo. Skam ci insegna come l'apertura rispetto a questi temi, molto spesso purtroppo ritenuti ancora tabù o per troppo deboli in una società che condanna chi mostra le proprie insicurezze, aiuti a trovare una via di uscita e di conciliazione con se stessi e gli altri. In questa quinta stagione che ruota attorno al personaggio di Elia, viene affrontato un tema inedito ovvero quello dell'ipoplasia peniena (o malattia del micropene), patologia di cui soffre il nostro protagonista. Ho usato il termine "inedito" proprio perché di rado se non mai si è sentito parlare di una serie tv o film incentrato sul disagio provato da un uomo in relazione al suo corpo e soprattutto al suo apparato genitale. Se avete seguito le vicende pre-uscita di Skam saprete benissimo come questo tema abbia scatenato le peggio malelingue del web (su Twitter Italia il primo trend era #micropene).
Sinceramente non capisco e non condivido, io credo al contrario che la questione dell'accettazione del corpo affrontata da un punto di vista maschile, aiuti a riflettere. Elia è un ragazzo di bell'aspetto, il tipico "belloccio" ma che vive un complesso, quello di avere un pene al di sotto della media. Possiamo fare gli ipocriti quanto vogliamo, dire che ormai nel 2022 questa è una questione superata ma sappiamo benissimo che non è così. Come noi donne anche gli uomini sono vittime di "mascolinità tossica". Il ruolo dell'uomo nella società è associato al simbolo di potenza e il pene volente o nolente ne fa parte. Pensare che un uomo non possa avere dei complessi nei confronti del suo corpo è sintomo di come il tema dell'accettazione del sé sia ancora sottovalutato. Non è che non se ne parli per carità ma secondo me non nel modo giusto. Il nostro corpo, dalla testa ai piedi, è fatto di carne e territori spinosi che possono sfociare in veri e propri stati di ansia e disagio. Questo perché Il corpo è l'involucro materiale del nostro essere quello con cui ci interfacciamo al mondo e agli altri, insomma il nostro biglietto da visita. Sarebbe tutto molto più facile se vivessimo in un mondo in cui non ci vengono imposti degli standard o se tutti i giorni non fossimo bombardati da immagini che ci dicono chi dovremmo essere. Tutto è trasformato in competizione, anche il sesso è competizione. Ci sono scadenze per la perdita della verginità, si quantifica il numero di prestazioni, perché è solo in base alla quantità che puoi essere considerato "normale". Questa è una società che distrugge l'interiorità a favore dell'esteriorità e della prestanza. La retorica "dell'importante è essere belli dentro" ormai è diventata cliché come le frasi che puoi trovare dentro i Baci Perugina. Io stessa ogni giorno nonostante tutti i miei sforzi di accettarmi così come sono vivo le insidie del mio corpo e lo critico senza alcuna pietà. Non mi vergogno di dire che ho il terrore di ingrassare, che non mi piacciono le mie spalle, la ciccia che mi esce dal reggiseno, i miei fianchi, la mia pancia e potrei continuare ad oltranza. Questi messaggi di finto "body positive", che spesso vengono profanati da influencer perfette che vogliono stare al passo con i miti della nostra società, contribuiscono a celare ancora di più in secondo piano le problematiche che derivano dal rapporto tra la persona e il proprio corpo. È come se la questione venga affrontata solo in superficie, nel senso, basta scrivere in una caption di Instagram cose come: "Amati per come sei"; "Tu non vali il numero che c'è sulla bilancia"; "Ho le smagliature e va bene così" e il gioco è fatto. Quando poi si richiede maggiore profondità rispetto all'argomento ecco che subentra il "nulla cosmico". Quello che è personale, e non c'è niente di più personale del nostro corpo, viene spersonalizzato e oggettivato, un perfetto prototipo industriale che va pubblicizzato e messo in mostra. L'aspetto più triste di questa storia è il fatto che non ci viene insegnato che il corpo è personale e soggettivo, non dipende da terzi e che l'imperfezione non è uno stigma ma un valore aggiunto che contribuisce all'unicità. Che bella parola "unicità": sono unico perché sono io e sono diverso da un altro, non migliore, semplicemente diverso. Skam attraverso la storia di Elia ce lo insegna e senza troppi rigiri di parole ci dice che le "disfunzioni" non sono sinonimo di vergogna ma che se ne può fare una forza basta trovare il coraggio di comunicare. La comunicazione aiuta a visualizzare il problema dall'esterno e quello che sembra un atto banale, ovvero comunicare, in realtà è un vero e proprio atto di ribellione contro un sistema che ci invita a tenere i problemi per noi. Il tacere per poi trovare la spinta di parlare secondo me è il filo conduttore che unisce le varie stagioni di Skam ed è proprio per questo che credo sia utile guardarla, perché riguarda la nostra generazione e le difficoltà che abbiamo affrontato o che tutt'ora stiamo affrontando e ci fa sentire meno soli.
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